Cinque secoli di idee, maestri e libri che hanno modellato la mente degli architetti, dall’umanesimo a Wright, tra Milano, Roma e l’Europa
Lo studio sulla biblioteca dell’architetto tra XV e XX secolo si concentra sull’analisi di testamenti e inventari, ricostruendo patrimoni librari e reti culturali attraverso figure-chiave della storia dell’architettura. L’obiettivo è comprendere come i libri, insieme ai disegni e agli appunti, abbiano contribuito alla formazione degli architetti e al loro ruolo nelle corti, nei cantieri e nelle accademie.
La ricerca dedica particolare attenzione al contesto sforzesco. La “politica della magnificenza” dei duchi si intreccia con una precisa politica del libro: la Biblioteca ducale, lo studio pavese e le raccolte private di Gaspare Visconti e Gian Giacomo Trivulzio riflettono la volontà di promuovere architettura e immagine attraverso il sapere scritto.
Un nodo centrale dell’indagine riguarda la fortuna del testo di Vitruvio. Nella Milano sforzesca, umanisti e architetti rileggevano il trattato in chiave moderna, dando vita alle condizioni che portarono alla stampa dell’edizione di Cesare Cesariano a Como nel 1521. Questo ambiente culturale coinvolge maestri come Filarete, Bramante, Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo e figure lombarde attente all’antico, da Cristoforo Solari a Vincenzo Seregni.
Proprio Seregni, non a caso, chiamò “Vitruvio” suo figlio, indirizzandolo alla professione architettonica. Anche Cristoforo Lombardo e Martino Bassi mostrano un rapporto forte con la tradizione classica, che si intreccia con i trattati cinquecenteschi, in particolare con l’opera di Sebastiano Serlio, la cui diffusione è oggi oggetto di nuovi studi.
In questo quadro si inserisce la ricostruzione della biblioteca di Francesco Maria Ricchino, figura immersa fin da giovane nelle discussioni teoriche della Fabbrica del Duomo e vicina a religiosi colti come Lorenzo Binago. Le tracce superstiti indicano un patrimonio librario ricco e articolato, costruito grazie a un’intensa formazione teorica.
La ricerca prosegue nel Seicento, quando il Collegio degli ingegneri architetti e agrimensori consolida il proprio ruolo sociale, equiparando la professione a quella dei notai. I membri del Collegio – da Pellegrino Pellegrini ai Quadrio – spesso provenivano da famiglie in cui convivevano percorsi notarili e architettonici, creando biblioteche familiari di grande complessità.
Le figure del tardo Seicento, come Francesco Castelli e Andrea Biffi, permettono di comprendere l’incontro tra esigenze pratiche della committenza lombarda e nuove tensioni linguistiche derivate da Roma. Nel Novecento, l’analisi approda a personalità come Eugenio Giacomo Faludi, che incarna lo scambio culturale tra Roma e Milano grazie a una carriera divisa tra le due città.
L’indagine sulle biblioteche di architetti come Marcello Piacentini, Piero Bottoni, Franco Albini, i Bbpr, Carlo Mollino o Mario Passanti consente di verificare la reale diffusione dei testi di Le Corbusier e delle avanguardie europee, spesso ritenute centrali dalla storiografia senza prove documentarie altrettanto solide.
Un capitolo a parte riguarda la circolazione delle opere di Frank Lloyd Wright in Italia, ricostruibile attraverso gli archivi di architetti milanesi come Piero Portaluppi, Giuseppe De Finetti o Carlo Scarpa. La biblioteca di Bruno Zevi, infine, rappresenta un osservatorio privilegiato per capire l’influenza del maestro americano nella cultura architettonica italiana.
La presenza costante, nelle biblioteche novecentesche, di trattati dal Cinquecento in poi suggerisce un dialogo continuo tra antico e moderno: una genealogia del sapere architettonico che collega tradizione, metodo e innovazione lungo cinque secoli di storia.
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