Un territorio che respira, una comunità che ascolta i suoi movimenti e una storia sotterranea che continua a evolversi, tra timori antichi e nuova consapevolezza
Capita di imbattersi in luoghi che, anche senza far rumore, sembrano custodire un’energia particolare. Non serve crederci per forza: basta passarci, restare un attimo in silenzio e sentire che l’aria ha un peso diverso, quasi un respiro.
Nella zona nord-occidentale di Napoli questa sensazione è familiare. La si avverte nei vicoli di Pozzuoli, lungo il porto, ma non solo. Anche a Bagnoli, ad Agnano, spesso perfino a Fuorigrotta e Pianura. È come se il terreno sotto le scarpe avesse una storia sua, più antica delle case e più vasta degli sguardi.
La questione è spinosa e non è di facile soluzione. Si tratta di terremoti, ma diversi dagli altri. Si tratta di rischio eruttivo, che al momento non pare essere né imminente né urgente ma che comunque è una spada di Damocle che pende sulla testa dei cittadini. E ogni volta che i tremori ripartono viene fuori sempre la stessa questione: cosa sta succedendo? Che rischio corriamo?
Chi vive questa zona sa bene che il bradisismo non è una parola da libro di geologia. È un’abitudine ormai radicata nella vita dei residenti. Una specie di bullo che quando è di cattivo umore può picchiarti e vessarti, e tu sei sempre lì a sperare che oggi non sia quel giorno lì. Il suolo si solleva, poi scende, poi torna a sollevarsi. E intanto si contano piccole scosse, spesso leggere, altre volte più forti.
Lo scorso marzo la terra ha deciso di ricordare a tutti che i fenomeni naturali non passano mai di moda, con una scossa di magnitudo 4.6 che ha fatto vibrare finestre e nervi, lasciando anche un bel po’ di danni ai fabbricati.
È stata una delle più forti mai registrate in area flegrea, forse la più forte in assoluto. Un numero che impressiona, certo, ma che non va letto come la punta di un iceberg invisibile. Gli esperti lo ripetono con molta calma e altrettanta determinazione: le energie in gioco qui sono diverse da quelle dei terremoti che colpiscono altre zone d’Italia, e si muovono in un equilibrio molto particolare.
Tra gli studiosi circola un’idea interessante, che negli ultimi mesi è tornata a farsi sentire: per generare un terremoto davvero grande, a livello superiore rispetto a ciò che si è visto finora, servirebbe l’attivazione contemporanea di più faglie profonde. Non una spinta isolata, ma un movimento corale, che al momento appare decisamente improbabile.
Cosa vuol dire? Significa che, salvo situazioni fuori scala, è difficile che la magnitudo massima dei terremoti nei Campi Flegrei possa superare di molto quella di marzo 2025. La caldera dei Campi Flegrei resta un gigante da monitorare, ma non un mostro pronto a scatenare da un momento all’altro scenari da film catastrofico.
Il rischio vulcanico rimane, e negarlo sarebbe una sciocchezza. Ma rischio non significa destino. Significa possibilità, scenario, ipotesi da valutare con testa lucida. Significa monitoraggio, che oggi è continuo e infinitamente più raffinato rispetto a decenni fa.
Il comportamento del vulcano dei Campi Flegrei, inoltre, non mostra al momento segnali tipici di una fase pre-eruttiva: niente accelerazioni anomale del sollevamento, niente cambi drastici nei gas, niente scosse “diverse” da quelle che ci si aspetta in un sistema idrotermale molto attivo. L’attenzione resta alta, com’è naturale. La paura può aspettare.
Forse la parte più sorprendente della storia è che, nonostante tutto, la vita qui continua con una normalità che ha dell’eroico. I pescatori scendono al porto, i negozianti alzano le saracinesche, i bambini corrono nei cortili. E mentre la caldera flegrea fa il suo mestiere di gigante silenzioso, la scienza fa il suo: osserva, interpreta, comunica.
È una convivenza fragile ma reale, che richiede rispetto più che panico. E se c’è una certezza, oggi, è che conosciamo molto meglio questo territorio rispetto al passato. Forse non possiamo prevedere tutto, ma possiamo essere preparati. Ed è già un passo avanti enorme.
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