Quando il corpo non fa male è davvero tutto a posto? Un viaggio nel lato nascosto della salute, tra numeri ignorati, diagnosi mancate e prevenzione possibile.
Negli ultimi anni la sanità pubblica e gli istituti di ricerca stanno puntando il riflettore su un tema che riguarda milioni di persone: la crescita delle condizioni che non mostrano sintomi in modo evidente. È un paradosso solo in apparenza, perché la medicina avanza nella diagnosi precoce ma fatica a intercettare ciò che non fa rumore.
Le principali organizzazioni internazionali, dall’OMS all’ECDC, usano sempre più spesso l’espressione “malattie asintomatiche o paucisintomatiche” per indicare disturbi che non creano dolore immediato né limitano le attività quotidiane. Proprio questa assenza di segnali forti le rende facili da ignorare, permettendo alla malattia di progredire fino a fasi più difficili da trattare.
Tra le condizioni considerate più insidiose rientrano ipertensione, diabete di tipo 2 agli stadi iniziali, disturbi della tiroide, apnea notturna lieve e diverse forme di infiammazione cronica di basso grado. Molte colpiscono in modo crescente persone sotto i 45 anni, creando una quota consistente di “falsi sani” inconsapevoli del proprio stato reale di salute.
Il caso dell’ipertensione è spesso indicato come esempio emblematico. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa il 30% degli adulti italiani ne soffre senza saperlo, con diagnosi che arrivano solo dopo episodi acuti come crisi ipertensive o problemi cardiovascolari. Questo ritardo diagnostico si traduce in trattamenti più complessi e in un rischio maggiore di complicanze a lungo termine.
Una parte della spiegazione sta nel modo in cui è cambiata la vita quotidiana: giornate più frenetiche, esposizione costante allo stress, sonno irregolare e sedentarietà diffusa. In questo contesto diventa difficile riconoscere i segnali minimi del corpo e la prevenzione viene percepita come qualcosa di straordinario, quasi un extra, e non come una pratica di routine integrata nella gestione personale della salute.
I dati sui controlli periodici mostrano che, tra i 25 e i 45 anni, meno del 40% delle persone effettua verifiche regolari su parametri fondamentali come pressione, glicemia e funzionalità renale. La percentuale si riduce ulteriormente tra lavoratori turnisti, autonomi e chi ha orari molto irregolari, proprio le categorie più esposte a stress cronico prolungato e abitudini di vita disordinate.
Gli specialisti ricordano che queste condizioni non compaiono all’improvviso, ma si costruiscono nel tempo. Eccesso di lavoro, alimentazione squilibrata, sedentarietà e mancanza di sonno creano un terreno favorevole, mentre il corpo cerca di compensare adattandosi.
Questo adattamento temporaneo viene spesso interpretato come normalità, rendendo difficile percepire la progressione lenta del problema.
Dal punto di vista medico il messaggio è chiaro: l’assenza di sintomi non equivale a uno stato di salute ottimale. Il fulcro diventa il monitoraggio dei parametri di base, oggi più semplice grazie a esami di laboratorio accessibili, misurazioni domiciliari e percorsi di prevenzione offerti dal Servizio Sanitario Nazionale. L’obiettivo è intercettare le alterazioni quando sono ancora gestibili e, in molti casi, reversibili.
Le linee guida nazionali e internazionali invitano a programmare controlli periodici anche per adulti giovani e apparentemente in forma, non per medicalizzare ogni aspetto della vita, ma per ridurre il numero di diagnosi tardive. Inserire pochi esami periodici in agenda significa spesso evitare terapie più lunghe e interventi più invasivi, con un impatto diretto sulla qualità di vita futura.
C’è anche un impatto economico rilevante. Le malattie silenziose che evolvono in forme croniche generano costi elevati per il sistema sanitario: farmaci continuativi, ricoveri, visite ripetute, esami specialistici. A questi si aggiunge la perdita di produttività legata a assenze dal lavoro e limitazioni funzionali che avrebbero potuto essere contenute con un semplice intervento precoce.
Per questo molti Paesi stanno investendo sulla prevenzione come strategia di sostenibilità. Campagne informative, programmi di screening mirati e percorsi di educazione sanitaria cercano di spostare il baricentro dall’emergenza alla gestione anticipata. Il punto critico resta trasformare questi strumenti da opportunità teoriche a comportamenti concreti, stabili nel tempo, adottati dalla popolazione in modo diffuso.
Resta aperta una domanda centrale per medici, istituzioni e cittadini: riusciremo a considerare la prevenzione non come un obbligo straordinario, ma come parte normale della cura di sé, anche quando non avvertiamo nessun sintomo? La risposta passa dalla capacità di guardare alla salute non solo quando qualcosa fa male, ma anche quando il corpo sembra tacere e, proprio per questo, merita più attenzione.
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