La ricerca pubblica italiana prova a uscire dalla sua lunga crisi di identità e a diventare infrastruttura viva del Paese, tra scienza, innovazione e responsabilità sociale
Negli ultimi anni il sistema degli Enti pubblici di ricerca italiani ha smesso di vivere solo di riforme formali e ha iniziato a misurarsi con una domanda chiara: che ruolo deve avere la ricerca pubblica in un Paese che vuole restare industriale, digitale e sostenibile?
Le linee tracciate nel 2006 indicavano l’esigenza di superare la frammentazione, di rafforzare il collegamento con le imprese e di chiarire il rapporto con le università e territori. Oggi quelle priorità restano, ma sono entrate in un contesto più complesso, fatto di transizione ecologica, rivoluzione digitale e competizione globale sui talenti.
Gli EPR sono sempre più chiamati a svolgere una funzione di cerniera tra ricerca di frontiera, politiche pubbliche e filiere produttive. Non sono solo produttori di articoli scientifici, ma anche generatori di dati, tecnologie, standard e servizi tecnici per lo Stato e le imprese.
L’orientamento degli ultimi anni ha spinto gli enti a concentrarsi su grandi programmi tematici: energia e clima, salute, spazio, sicurezza, digitale, agrifood, mare e aree interne. Questo ha favorito progetti di dimensione adeguata, riducendo iniziative disperse e poco visibili, ma ha anche imposto un cambio di cultura organizzativa.
I decreti degli ultimi quindici anni hanno introdotto una pianificazione triennale più stringente, una maggiore trasparenza nella definizione degli obiettivi e l’estensione dei meccanismi di valutazione esterna. L’ANVUR e altre strutture di controllo hanno consolidato un sistema basato su risultati misurabili.
In parallelo, diverse riorganizzazioni hanno ridotto la frammentazione storica: fusioni, accorpamenti di istituti e razionalizzazione di strutture hanno dato vita a poli più riconoscibili, con massa critica sufficiente a dialogare con partner internazionali e grandi imprese.
Il CNR ha semplificato la propria rete di istituti, ENEA ha precisato il proprio perimetro energetico e tecnologico, enti settoriali hanno rafforzato il legame con le politiche pubbliche nazionali. Non tutte le criticità sono state superate, ma l’immagine di un sistema indistinto e autoreferenziale è molto meno vera rispetto al 2006.
Sul piano delle risorse, gli EPR continuano a muoversi in un quadro in cui gli investimenti in R&S restano inferiori alla media dei principali partner europei. I finanziamenti competitivi sono aumentati, ma la dotazione strutturale non sempre consente una programmazione serena di lungo periodo.
Si è diffuso il modello dei progetti cofinanziati, delle partnership pubblico–privato e dei grandi consorzi su temi strategici. Questo ha rafforzato il legame con alcune filiere produttive avanzate, ma rende vulnerabili le strutture più deboli, che faticano a competere nei bandi nazionali e internazionali.
Il trasferimento tecnologico è cresciuto in visibilità: uffici brevetti, sportelli per le imprese, incubatori e “spin-off” sono oggi molto più presenti rispetto al passato. Rimane però un divario tra il potenziale scientifico degli enti e la capacità del tessuto produttivo, in particolare delle PMI meno strutturate, di assorbire conoscenza e trasformarla in innovazione diffusa.
Il rapporto tra EPR e università si è spostato da logiche di semplice sovrapposizione a forme più mature di cooperazione: laboratori congiunti, dottorati industriali, centri interuniversitari ed europei hanno reso più chiara la ripartizione dei ruoli, almeno nei settori più dinamici.
Allo stesso tempo, molti enti hanno rafforzato il legame con le regioni e gli ecosistemi locali, contribuendo a politiche di specializzazione intelligente, piattaforme territoriali sull’innovazione e servizi tecnici per la pubblica amministrazione. La dimensione nazionale resta centrale, ma si affianca sempre più a quella regionale e urbana.
Nonostante i passi avanti, restano aperte alcune questioni chiave: stabilità dei finanziamenti, attrazione e trattenimento dei giovani ricercatori, riduzione della burocrazia interna e pieno riconoscimento del ruolo della ricerca libera di base, spesso schiacciata da obiettivi immediatamente applicativi.
La credibilità degli Enti pubblici di ricerca, nel 2025, dipende dalla capacità di dimostrare che eccellenza scientifica e impatto sociale non sono alternative ma parti dello stesso progetto. Il vero salto di qualità arriverà quando questa idea diventerà pratica quotidiana e non solo enunciazione programmatica.
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